Dopo l’interludio napoleonico, l’Europa intera venne spazzata da una ventata di anglofilia. Le usanze, la moda, le idiosincrasie e le passioni che caratterizzavano l’alta società britannica divennero il modello di comportamento preferito dell’aristocrazia e della ricca borghesia continentali.
Tra tante bizzarrie, oltre al whist, alla caccia a cavallo, al tè serale e ai lunghi scialli di cachemire indiano, si impose un nuovo ed inedito rapporto con la natura e conseguentemente con la forma e lo spirito dei giardini. Persino la sonnolenta e provinciale aristocrazia romana, pur se con lieve ritardo, fu contagiata, tra le altre cose, dal gusto del giardino all’inglese. Principi, duchesse e banchieri, nonostante le indubbie difficoltà dovute al clima, alla morfologia dei luoghi e all’inettitudine della mano d’opera locale, cominciarono col disseminare di follies i loro ordinati e folti giardini barocchi, e finirono col creare uno strano e affascinante connubio, che si potrebbe chiamare il giardino anglo romano.