Tutti i forestieri giudicavano le feste romane, per private e secolari che fossero, un misto inestricabile di liturgia e svago profano. Il rituale ecclesiastico che ritmava le stagioni cittadine con manifestazioni popolari spettacolari si riverberava, nei palazzi del papa, dei cardinali e dei principi, in una gastronomia acrobatica che deliziava l’occhio forse più del palato.
Le funzioni sacre si tingevano, di converso, di una vaga aura pagana nel fasto della loro cadenza e negli allestimenti voluttuosi.