Con Virginia Woolf e James Joyce si è aperto il ciclo di sei appuntamenti che vedono un confronto agguerrito tra grandi scrittori dell’Ottocento e del Novecento. Le prossime coppie saranno Belli e De Lamartine, Morante e Ortese, Céline e Proust, Nabokov e Dostoevskij, Pasolini e Garcia Marquez.
Il padrino di questi duelli di carta è il poeta, saggista e docente di letteratura francese Valerio Magrelli, in collaborazione con la Cometa dell’Arte.
Il ciclo da lui ideato, sintetizzato, nel pieghevole informativo, dall’immagine dominante di un pugno, si colloca nell’ambito di simili iniziative londinesi chiamate Cultural Combat Events, che prevedono anche una cornice teatrale in cui si fronteggiano le parti in gioco: gli scrittori e altri personaggi in veste di avvocati e accusatori.
La proposta del Piccolo Eliseo invece privilegia le parole dei duellanti attraverso la voce di due attori, alternate agli interventi esplicativi e ironici del relatore.
Nell’introduzione al primo match, Magrelli ha fatto riferimento, oltre al format ispiratore, anche a una breve bibliografia “dell’odio letterario” – fiorente soprattutto in Francia – tesa a mettere a nudo la parte meno nobile del mondo letterario, a suggerire una sorta di cannibalismo tra autori, come testimonia la parola “odio” contenuta in alcuni titoli.
Terminata la doverosa presentazione, il folto pubblico del teatro ha avuto accesso agli strali nascosti nelle pagine di Virginia Woolf e di James Joyce, giganti del Novecento, vicini e lontani al tempo stesso, nati e morti nello stesso anno.
I due attori chiamati a prestare loro le voci hanno letto passi dalla “Signora Dalloway” e dall'”Ulisse”, lasciando emergere la distanza stilistica tra le due scritture: da un lato la leggerezza aerea e la preziosità lessicale della Woolf, dall’altro la forza scardinatrice di Joyce, capace di inglobare nella pagina blasfemia e scurrilità varie. Una diversità abissale, al punto che la scrittrice non risparmierà le critiche più dure, nell’arco di una ventina d’anni, a quella prosa rivoluzionaria, apripista del modernismo letterario.
Di queste critiche è stato offerto un ampio ventaglio, dai lamenti stizzosi per gli scellini spesi per l’acquisto del libro incriminato allo sconcerto per un’opera ritenuta volgare e noiosa, benché esaltata da Eliot, da lei chiamato amichevolmente Tom. Talmente numerosi i giudizi sull'”Ulisse” disseminati nei suoi diari da apparire quasi un’ossessione, un vero diluvio di aggettivi ed epiteti riferiti al libro e al suo autore, paragonato a un liceale a disagio che si gratta i foruncoli: ignorante, plebeo, egocentrico, stravagante, manierato, chiassoso, smanioso, patetico, noioso, virile, un caprone. Salvo poi interrogarsi in una preziosa pagina autocritica sul suo snobismo, avvertito come un limite insanabile, quasi costituzionale, che la porta a definirsi “non soltanto una snob da blasoni, ma anche una snob da salotti sfavillanti, una snob da feste del bel mondo”. Oppure lasciar trapelare un sentimento contraddittorio nei confronti dello scrittore tra disprezzo e malcelata ammirazione.
Ma Joyce? Cosa pensava della Woolf? Probabilmente non la teneva in grande considerazione, la ignorava preferendo confrontarsi con altri grandi del suo tempo, nelle sue peregrinazioni, in fuga dal provincialismo irlandese, passando per Trieste, Roma, soprattutto Parigi per un soggiorno ventennale, dove conosce tra gli altri Hemingway, misteriosamente ammirato, benché agli antipodi per stile letterario e di vita, ma fedele compagno di bevute e di risse occasionali.
Non risulta che Joyce si sia mai incontrato con la Woolf, né è dato conoscere un suo giudizio esplicito su di lei, tanto che l’ultima parte dell’incontro all’Eliseo è stata molto breve. Magrelli, per garantire un minimo di reciprocità nello scontro tra i due, ha dovuto far ricorso a qualche suggerimento di uno dei traduttori di Joyce, l’ultimo in ordine di tempo, che ha offerto una nuova versione dell'”Ulisse”. Terrinoni ha scovato nell’illeggibile eppure fantasmagorico “Finnengan’s Wake” alcune parole composite, distillati di plurimi significati nell’andamento onirico dell’opera, la cui musa sarebbe stata la figlia dello stesso Joyce affetta da schizofrenia. Queste parole, gravide di sensi, conterrebbero la parola Virginia o Woolf con intento derisorio, ma gli accostamenti sembrano azzardati.
Ora non resta che aspettare i prossimi match al Piccolo Eliseo. Il prossimo vedrà, l’un contro l’altro armati, Belli e De Lamartine. Si potrà continuare a godere delle parole dei grandi autori dei due secoli alle nostre spalle anche quando affilano le armi per una sfida letteraria.
[Fonte: www.pontediferro.org]